18 gen 2010

La pagina del Benny


STIAMO AMMAZZAZZANDO LA TERRA ,FARE QUALCOSA SI PUO' E SI DEVE
Isole di plastica, ghiacciai che si sciolgono a ritmi spaventosi, ice-berg inimmaginabili che si staccano dalle calotte polari, animali che perdono la capacità di vivere nel LORO mondo per colpa dll'umo "civilizzato", disastri ecologici, tempeste di radiazioni, sono solo alcune delle azioni mortali che l'uomo compie tutti i giorni nel nome della modernità e del benessere!

LE NOSTRE RISPOSTE SONO SEMPRE LE STESSE:IO-IL-MIO-LO-FACCIO!!!!!!
MA SIAMO SICURI DI FARE TUTTO QUELLO CHE E' IN NOSTRO POTERE?! DOVREMMO TUTTI STARE MOLTO PIU' ATTENTI A SPEGNERE LE LUCI IN CASA QUANDO E DOVE NON SERVONO, SPEGNERE I MOTORI DELLE MACCHINE AI SEMAFORI, QUANDO SI FANNO DELLE BREVI SOSTE. DOVREMMO TORNARE TUTTI QUANTI AD UNO STATO DI CONVIVENZA CON LA NATURA, SAPER CAMMINARE DI PIU' PER ESEMPIO. DOVREMMO TUTTI INDIGNARCI PER UN MOZZICONE DI SIGARETTA BUTTATO PER TERRA O PER UN SACCHETTO DI PLASTICA O CARTA CHE SIA CHE VEDIAMO SVOLAZZARE. DOVREMMO ESSERE METICOLOSI NEL FARE LA RACCOLTA DIFFERENZIATA E SPRECARE IL MENO POSSIBILE LE RISORSE MATERIALI DI CUI TROPPO SPESSO ABUSIAMO. DOVREMMO SPEGNERE L'ACQUA QUANDO CI SI LAVA I DENTI E FARE DOCCE MENO BOLLENTI E MOLTO PIU' CORTE (studio recente rivela che troppo pulito è causa di allergie) NON DOVREMMO USARE SOLO PER LA NOSTRA COMODITA' POSATE E PIATTI DI PLASTICA, EVITARE DI BUTTARE CIBO E EVITARE DI BUTTARE A LAVARE UN INDUMENTI PPRATICAMENTE PULITIMA QUESTI SONO SOLO POCHISSIME DELLE STUPIDE ABITUDINI CHE TANTO FATICHIAMO A CAMBIARE E CHE INVECE DOBBIAMO CAMBIARE.
E' persino inutile continuare ad elencarle perchè è sufficiente utilizzare il cervello da uomini civilizzati che crediamo di avere per non continuare ad avvelenare ed ammazzare il PIANETA TERRA.
ELENCO ALCUNI DEI FATTI SCONVOLGENTI CHE STANNO DISTRUGGENDO IL MONDO SENZA CHE NESSUNO LO SAPPIA E ANCORA PIù GRAVE SENZA CHE NESSUNO FACCIA NIENTE NE PER FARLO SAPERE NE PER FERMARE QUESTE BESTIALITA'

Estropolando da alcuni articoli trovati sui link qui sotto in cui si legge di una paurosa isola di plastica:

http://reteolistica.provincia.lucca.it/wiki/index.php/Isole_di_immondizia_nell%27_oceano

http://www.pupia.tv/notizie/0002673.html


"Il “Pacific Trash Vortex”, ossia “gorgo di immondizia del Pacifico”, è un’isola di spazzatura, soprattutto plastica, formatasi nell’Oceano Pacifico a partire dagli anni Cinquanta, con un diametro di circa 2500 km , pari ad una superfice di 4.909.000 Km², una profondità di 30 metri ed un peso di 3.500.000 tonnellate, grazie all’azione della North Pacific Subtropical Gyre, una corrente oceanica dotata di un particolare movimento a spirale orario, che permette ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro.""Il tratto di mare interessato all’inquinamento è sito tra Giappone e le coste della California, e interessa la zona delle isole Hawaii, in genere considerato un autentico paradiso ecologico. Una rapida analisi delle correnti oceaniche ci dimostra che per giungere in quel punto, la massa inquinante può provenire solo dal nord, e più esattamente dal Mare di Bering. In quel punto probabilmente si è generata la marea di plastica grande due volte gli USA che ora affligge il cuore del Pacifico.
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Occasionalmente, improvvisi mutamenti nelle correnti oceaniche provocano la caduta, da parte di navi cargo di interi containers che non solo vanno ad alimentare il Nord Pacific Gyre, ma arenano su spiagge poste ai confini del PTV. La più famosa è avvenuta nel 1990; dalla nave Hansa Carrier sono caduti in mare ben 80.000, tra stivali e scarpe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii. E questa non è stato l’unico caso: nel 1992 sono caduti in mare, decine di migliaia di vasche da bagno giocattolo e nel 1994 attrezzatura per hockey.
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Di recente, alcuni ricercatori dell’Università di Oslo, in cooperazione con gli esperti del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Tokyo, hanno pubblicato uno studio intitolato “Accertamento di contaminazione umana con agenti chimici che determinano disregolazione estrogenica ed il loro rischio per la riproduzione umana.” In questo documento, i ricercatori hanno postulato una teoria sui possibili effetti estrogenici di contaminanti ambientali come PCB, diossina ed insetticidi, che sta provocando molta preoccupazione. La “teoria estrogenica” indica che la persistente bioaccumulazione di agenti chimici influenza lo sviluppo fetale agendo come estrogeni. Questi determinano danni permanenti, in particolare negli organi riproduttivi. La teoria è basata sui rapporti su animali delle regione dei Gran Laghi in nord l’America, e sugli alligatori della Florida e sulla pesca nei fiumi in Gran Bretagna. Una riduzione della qualità del seme umano si è verificata durante il corso degli ultimi 50 anni, ed è stata indicata la possibilità che questo sia il risultato di una larga contaminazione ambientale. L’Incidenza più alta di altre malattie come ipospadia, criptorchidismo e cancro del testicolo indica anche che qualcosa sta colpendo la salute riproduttiva del maschio. Se l’incidenza più alta di endometriosi e cancro del seno può essere spiegata dall’ipotesi estrogenica è un forte interrogativo. Che molti contaminanti ambientali hanno effetti estrogenici, è stato documentato.
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Una zuppa di plastica nell´Oceano
L´isola di spazzatura, sempre più grande, va dalle coste del Nord America all´Estremo Oriente È stata scoperta da un giovane miliardario che navigava per diporto. Gli scienziati confermano.Nuota come un immenso bestione marino, non si vede finché non ci arrivi sopra perché sta appena sotto il pelo dell´acqua, afferra tutto quello che incontra sul suo cammino, come una fossa di vischiose sabbie mobili. Il mostro che risponde a queste caratteristiche non è dotato di vita propria, fortunatamente, almeno non ancora, ma toglie la vita a volatili e pesci, oltre che minacciare la salute del nostro pianeta: si tratta di una gigantesca isola di spazzatura, una «zuppa di plastica», come la chiamano i biologi marini, che si estende attraverso l´intero oceano Pacifico settentrionale, da 500 miglia nautiche al largo della California fino alle Hawaii, e da queste fin quasi al Giappone. Scoperta quasi per caso, sbattuta ieri in prima pagina dall´Independent di Londra, l´isola dei rifiuti di plastica è opera dell´uomo: l´abbiamo costruita noi, un pezzo alla volta, gettando pattume in mare. Un quinto dell´inestricabile groviglio galleggiante proviene da navi e pozzi petroliferi; il resto, ovvero la stragrande maggioranza, arriva dalle coste del Nord America e dell´Estremo Oriente. E continua a crescere, ingrandendosi di anno in anno, come in un film di fantascienza. «La mia previsione», dice Charles Moore, colui che l´ha avvistata e per primo ha provato a disegnarne la mappa, «è che raddoppierà di dimensioni nell´arco di un decennio».Dopo aver fatto il marinaio per diporto da giovane, Moore stava godendosi l´eredità lasciatagli da un padre petroliere con una gara in yacht da Los Angeles alle Hawaii, una di quelle competizioni a cui si dedicano i ricchi senza molto da fare nella vita. Per errore, a un certo punto, il suo piroscafo l´aveva portato in un´area nota come «il cerchio del Nord Pacifico», un vortice in cui l´oceano circola più lentamente per l´assenza di vento e un sistema di pressione estremamente alta. Il navigatore rimase stupefatto: «Ero circondato dalla plastica, giorno e notte, a migliaia di miglia nautiche da terra. Ogni volta che uscivo sul ponte a guardare, c´era della spazzatura che galleggiava. Non potevo credere ai miei occhi». Era il 1997. Come folgorato da quella casuale visione, il giovane miliardario vendette l´azienda di famiglia e da allora usa le sue risorse economiche per studiare e localizzare la macchia di plastica. Dopo dieci anni di ricerche, ora ha concluso l´impresa, disegnando confini e caratteristiche di questo mostro degli oceani. «Contiene almeno 100 milioni di tonnellate di plastica», afferma Moore, è divisa in due blocchi, uno un po´ più grande a est delle Hawaii, l´altro un po´ più piccolo a ridosso del Giappone. Insieme, hanno un´estensione pari a due volte gli Stati Uniti».Due Americhe di rifiuti di plastica, insomma, che galleggiano alla deriva nel Pacifico e si ingrandiscono continuamente. «Sono quasi un´entità vivente», osserva Curtis Ebbesmeyer, un oceanografo americano, «come un grosso animale sfuggito al guinzaglio». Conferma il professor David Karl, un´autorità in materia di inquinamento marino, docente di oceanografia all´università delle Hawaii: «Non c´è motivo di dubitare dell´esistenza di queste isole di spazzatura. La plastica che buttiamo via deve pur finire da qualche parte ed era ora che qualcuno scoprisse dove va a finire». Il petroliere pentito non è il primo ad averlo scoperto: un rapporto dell´Onu del 2006 calcola che un milione di uccelli marini e oltre 100 mila pesci o mammiferi marini all´anno muoiano a causa dei detriti di plastica, e che ogni miglio quadrato nautico di oceano contenga almeno 46 mila pezzi di plastica galleggiante. Probabilmente inclusi, per restare in tema, un po´ di quei rifiuti che a Napoli nessuno sapeva più dove gettare.
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L’origine misteriosa di un continente di rifiuti

“La vittoria ha molti padri, la sconfitta è orfana” dicevano latini, e così anche per quello che riguarda il nostro maremagnum di rifiuti vagante, nessuno sembra avere particolarmente fretta di dichiararsene l’autore. Ma da dove può essere nata una tale marea di plastica e rifiuti non biodegradabili? Di sicuro non può essere semplicemente frutto del rilascio di oggetti o scarti da parte di navi in transito nei mari del pacifico. Le enciclopedie alla voce “rifiuti oceanici” hanno due voci, il “jetsam”, vale a dire il volontario lancio fuori bordo (jettisoned) di oggetti, generalmente per situazioni di emergenza, e il “flotsam”, descritto come la perdita di materiale di bordo in seguito a incidenti o schianti. Appare evidente che nessuna di queste due spiegazioni si attaglia alla situazione in essere, quante navi avrebbero dovuto naufragare per produrre una tale quantità di materiale inquinante? Certo, esistono casi limite come quello succitato della nave Hansa Carrier, che il 27 maggio del 1990, mentre procedeva verso gli Stati Uniti provenendo dalla Corea, naufragò a causa di una terribile tempesta tropicale, e 80.000 scarpe finirono in mare. Ma si tratta di casi rari e isolati, tant’è vero che il caso della Hansa Carrier è tutt’ora uno dei più studiati dagli oceanografi perchè è stato utilissimo per capire la struttura delle correnti oceaniche.Ma se si tratta di casi così rari, come ha fatto a formarsi un’isola galleggiante di rifiuti grande quasi il doppio degli Stati Uniti?Tornano in mente i traghetti nostrani, che carichi di rifiuti che nessuno desidera, approdano in Sicilia o in Sardegna in cerca di una zona di stoccaggio, con carichi di 800 tonnellate di immondizia per viaggio. Riguardo ai rifiuti del Pacifico, l’ipotesi più credibile allo stato attuale è che si tratti di rifiuti domestici che nessuno voleva, provenienti da parti del mondo dove lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti rappresenti un grosso problema. Nella sterminata discarica infatti si può trovare un po’ di tutto, dai palloni da calcio ai mattoncini del Lego, fino ai famigerati sacchetti di plastica, difficile quindi pensare a materiale di uso comune su di una nave.
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http://www.pupia.tv/notizie/0002673.html


Questa plastica, tra l’altro, è estremamente dannosa per le creature marine. Le particelle plastiche uccidono, ogni anno, milioni d’esemplari appartenenti ad oltre 267 specie, comprese il 90 per cento di tutte le tartarughe marine. Uccelli e mammiferi marini confondono, infatti, le particelle di plastica con le uova dei pesci. Il 40 per cento dei piccoli d’albatro, ad esempio, nell’atollo hawaiano di Midway muore prematuramente per aver scambiato della plastica per cibo. Nello stomaco d’alcuni mammiferi si sono trovate siringhe, accendini, cannucce, spazzolini da denti ed altri oggetti scambiati per alimenti.
Estropolando da alcuni articoli trovati sui link qui sotto in cui si legge di scioglimento delle calotte glaciali:
"La Commissione Glaciologica Svizzera - la cui fondazione risale al 1869 - tiene sotto attenta osservazione i movimenti e la densità dei ghiacciai, quali ottimi indicatori della tendenza generale del clima. Negli ultimi anni si è constatata una generale riduzione dei ghiacciai sia in lunghezza sia in volume, anche se si possono evidenziare sensibili differenze fra le varie regioni. Durante il periodo di osservazione 2004/2005, degli 87 ghiacciai presi in esame, 79 si sono ritirati e 7 sono rimasti stazionari. La diminuzione più marcata si è verificata nel ghiacciaio del Trift (Canton Berna) che ritiratosi di ben 216 metri; il lago che si trova all'imbocco del ghiacciaio viene ritenuto responsabile della la velocità con cui è avvenuto il ritiro.
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DAL LIBRO DI WALTER BONATTI "UN MONDO PERDUTO:
"...I nove decimi di tutto il ghiaccio presente sulla terra sono accumulati nel continente bianco (n.d.r. il Polo Sud). Se questo ghiaccio un giorno dovesse sciogliersi - supposizione supposizione piuttosto verosimile considerate le alterazioni gia in atto attraverso gli agenti inquinanti - il livello dei mari si eleverebbe di circa sessanta metri. Ma succederebbe anche un altro guiaio: sgravato dal suo peso tremendo (n.d.r. spessore del ghiaccio compreso tra i 2 e i 3 km), l'Antartide in breve si solleverebbe per almeno mezzo chilometro dalla sua quota atuale, che è mille metri più bassa delle altre terre emerse, e l'equilibrio della crosta terrestre ne sarebbe compromesso. Muterebbe anche il clima di tutto l'emisfero meridionale influenzato dal gelido continente, e di conseguenza si scioglierebbero anche i ghiacciai della Patagonia e della Nuova Zelanda. Si produrrebbe una faale catena di cataclismi terrestri ritmati dai più sconvolgenti terremoti.
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http://www.ecologiae.com/ghiacciai-tibet-sciogliendo-sparirne-2050/11124/


Della fuliggine nera depositata sui ghiacciai del Tibet ha contribuito in modo significativo alla ritirata di una delle più grandi masse di ghiaccio polare al mondo, secondo la nuova ricerca dagli scienziati della NASA e dell’Accademia Cinese delle Scienze. La fuliggine assorbe la radiazione solare in entrata ed è in grado di velocizzare la fusione glaciale, quando si deposita sulla neve in quantità sufficienti.
Le temperature sull’altopiano tibetano, a volte chiamato “terzo polo della Terra”, si sono scaldate di 0,3 ° C per decennio negli ultimi 30 anni, circa il doppio del tasso dell’aumento della temperatura globale. La ricerca sul campo suggerisce che l’influenza del riscaldamento dei ghiacciai del Tibet potrebbe rivaleggiare con quella dei gas ad effetto serra.
I ghiacciai del Tibet si stanno ritirando ad un ritmo allarmante. La fuliggine nera è probabilmente responsabile della metà dei scioglimento dei ghiacci, ed i gas ad effetto serra sono responsabili per il resto
ha detto James Hansen, coautore dello studio e direttore del NASA’s Goddard Institute for Space Studies (GISS), a New York City.
Durante gli ultimi 20 anni, la concentrazione di fuliggine nera è aumentata di due o tre volte rispetto alla sua concentrazione nel 1975
ha aggiunto Junji Cao, un ricercatore dell’Accademia cinese delle Scienze di Pechino e un coautore della ricerca, a cui ha fatto eco Tandong Yao, direttore dell’Istituto dell’Accademia cinese di Plateau tibetano di ricerca, spiegando che
Il 50% dei ghiacciai che si ritiravano nel 1950-1980 nella regione tibetana, sono saliti al 95% nei primi anni del 21° secolo. Alcuni ghiacciai si stanno ritirando così in fretta che potrebbero scomparire entro la metà del secolo, se le tendenze attuali continuano."
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http://www.ecologiae.com/kilimangiaro-velocemente-sciogliendo/10469/

Lo strato di ghiaccio che ricopre il Kilimangiaro nel 2007 era dell’85% inferiore a quello che copriva il suo altopiano nel 1912. Il ghiaccio si è ridotto di circa l’1% l’anno dal 1912 al 1953, un tasso che si è accelerato negli ultimi anni. Dal 1989 al 2007, tale tasso è balzato al 2,5% l’anno. Dal 2000, tre aree dell’altopiano si sono ridotte del 26%. Thompson e il suo team di ricercatori ha trascorso sette anni per misurare i ghiacciai del Kilimangiaro.
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http://www.ecologiae.com/piu-alto-ghiacciaio-al-mondo-sciolto/10348/

"Della sciovia ormai rimane soltanto la ruggine, la quale domina oggi quello che era la più alta attrazione sciistica nel mondo appollaiata sul ghiacciaio Chacaltaya a circa 5.300 metri di altezza. Solo un piccolo scorcio di neve e ghiaccio di circa 50 metri quadrati resta oggi del magnifico ghiacciaio, un niente se lo paragoniamo a quello che si sviluppava nel tristemente lontano 1950, quando si potevano misurare 1.600 metri quadrati."



"Gli scienziati, che hanno studiato il Chacaltaya negli ultimi 15-20 anni, avevano previsto che sarebbe del tutto scomparso nel 2015. Magari fosse stato così. Con un’accelerazione del riscaldamento globale che sta stimolando il ghiaccio a sciogliersi al ritmo di sei metri per anno, rispetto a circa un metro nel 1940, la sua scomparsa è arrivata sei anni prima del previsto.


Intorno al Chacaltaya, nella regione della Cordillera reale boliviana, la quale vanta valli incontaminate, campi, laghi e cascate, circondata da montagne, tutto è ormai semi-distrutto. La vallata ha perso circa il 43% delle sue cime innevate negli ultimi 33 anni. Lo stesso scenario cupo si può trovare presso la vicina montagna Huayna Potosi (6.088 metri) o la maestosa Illimani che domina La Paz a 6.462 metri. Un fenomeno purtroppo non nuovo, ma anzi a cui gli abitanti del Sudamerica stanno facendo l’abitudine, visto che numerosi ghiacciai, come il Perito Moreno in Argentina, sono vicini alla sparizione."

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http://groups.google.com/group/buchi-di-culo/edit/.draft-1263386234066?hl=it


"Il permafrost, o terreno congelato, copre circa il 20-25% della superficie terrestre nell’emisfero settentrionale, ed è stimato che contenga fino a 1600 gigatonnellate di carbonio, principalmente sotto forma di materia organica (un gigatone è equivalente ad un miliardo di tonnellate). In confronto, l’atmosfera contiene oggi circa 825 gigatonnellate di biossido di carbonio, circa la metà.


Spiega Jacobson che:

Il permafrost storicamente è servito come deposito di carbonio, isolando grandi quantità di carbonio durante il suo normale ciclo. Tuttavia, il riscaldamento globale potrebbe trasformare l’Artico in una nuova fonte di carbonio attraverso l’accelerazione del tasso di scioglimento del permafrost. Questo senza dubbio avrebbe un effetto drammatico sul ciclo globale del carbonio.


Jacobson esprime la sua preoccupazione principale, e cioè che il carbonio nel permafrost si ossidi e acceleri la fusione, causando un aumento improvviso del riscaldamento globale. Un circolo vizioso che creerebbe un clima più caldo che facilita il rilascio di più di carbonio, che a sua volta favorisce un meggiore riscaldamento.


Così Jacobson e i suoi colleghi raccolgono l’acqua dei fiumi e i campioni di terreno in prossimità della NSF Toolik Long-Term Ecological Research station, circa 250 km a nord del Circolo Polare Artico. Mentre il primo passo per la modellazione di riscaldamento globale è la quantificazione del flusso di carbonio, irrisolte complessità che circondano il ciclo del carbonio dell’Artico rendono difficile la creazione di modelli validi."


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http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/1366-australia-liceberg-alla-deriva-e-sempre-piu-vicino


Un iceberg grande quanto la città di Bologna minaccia l'Australia. Alcune immagini, catturate dai satelliti della Nasa e dell'agenzia europea Esa, hanno mostrato che l'immenso gigante di ghiaccio è in cammino verso le coste australiane, e si trova al momento a 1.700 chilometri a sud ovest del continente.

Proprio per questo, le autorità australiane oggi hanno lanciato un allerta alla navigazione. L'iceberg, secondo l'ufficio di meteorologia, si sarebbe staccato circa 10 anni fa dalla banchina antartica, dalla piattaforma di Ross, la più estesa del continente ghiacciato, grande 487 mila km quadrati. Dalle dimensioni iniziali, il mostro di ghiaccio misura oggi 140 km quadrati e ha una lunghezza di 19 km. Tale grandissima differenza è legata al fatto che centinaia di piccoli iceberg si stanno staccando e vanno alla deriva, minacciando così la navigazione.


Un vero e proprio disastro ambientale, che ben si inserisce nei dibattiti che si susseguono i questi giorni a Copenhagen. Si discute infatti della necessità di diminuire a 1,5 gradi il limite per evitare il global warming, che metterebbe a rischio molte isole. La montagna sarebbe belle vicinanze da circa un anno, nell'Oceano Pacifico ed è stata chiamata B17B.

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http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/ambiente/polo-sud/polo-sud/polo-sud.html


http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/7843170.stm


SI ERA formato silenziosamente nel corso di diecimila anni. In pochi giorni, sorprendendo tutti gli scienziati, l'iceberg di Wilkins, a nord dell'Antartide, si è spaccato in mille pezzi e i suoi frammenti sono caduti in mare con una serie di schianti fragorosi. Così si è rotto il cordone ombelicale.


Il cordone ombelicale che teneva ancorata alla penisola antartica questa piattaforma bianca di 3.700 chilometri quadri era ormai ridotto a una passerella di ghiaccio lunga 40 chilometri e larga 500 metri. Nel corso della settimana scorsa si è sbriciolato quasi completamente lasciando alle correnti dell'Oceano antartico il compito di spazzare via blocchi di iceberg grandi come palazzi.

LA SPERANZA CHE VORREI ESPRIMERE IN QUESTA PAGINA E' SEMPLICE. MI PIACEREBBE TANTO CHE TUTTI NEL NOSTRO PICCOLO FACESSIMO IL MASSIMO E ANCHE DI PIU' PER CONTRASTARE FENOMENI CHE SONO DAVVERO GRAVI E INCREDIBILMENTE VELOCI. I FATTI DI CUI SI PARLA TALMENTE POCO COME LO SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI DOVUTI ALL'IQUINAMENTO SEMBRANO TANTO LONTANI MA MA NON LO SONO AFFATTO!!


POTREMMO FORSE GIA' ESSERE IN FORTISSIMO RITARDO PER EVITARE CATASTROFI ANCORA PEGGIORI E PER CERCARE DI SALVARE LA TERRA.


QUESTO E' UN NOSTRO DOVERE.


QUESTO E' UN NOSTRO DOVERE PERCHE' LA TERRA NON E' NOSTRA.


E' UN PARADOSSO DIFFICILE E FORSE PER QUESTO CI RISULTA TANTO DIFFICILE PENSARE DI DOVERLA SALVARE.ANCHE SE SAREBBE MEGLIO PENSARE DI DOVERLA SALVARE DA NOI UMANI.

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